Nonostante la tragedia del Covid sia cominciata solo un anno fa, sembra non finire mai. Restiamo convinti che le conseguenze economiche, sociali e psicologiche di questo disastro avranno effetti più lunghi rispetto alla durata della pandemia stessa. Occorre ammettere tuttavia che più passano i mesi più ci avviamo verso la fine della fase acuta della crisi. Per quanto BlueStar continui a ritenere che restino molti rischi e troppa compiacenza sulla velocità di uscita dalla pandemia si comincia per lo meno ad intravedere luce in fondo al tunnel. Il problema, insistiamo, è che il mercato questa luce ha cominciato a vederla già parecchi mesi fa ed abbia fatto estrapolazione per il futuro solo degli scenari ad esso più favorevoli. Ipotizzare la fine della pandemia, il ritorno alla normalità, una crescita “dopata”, tassi bassi, valute stabili ed inflazione assente ha creato le sembianze della madre di tutti i Goldilocks giustificando quindi valutazioni alte o addirittura altissime. Lo scenario del Goldilocks non è destinato a durare, secondo BlueStar. La volatilità degli ultimi giorni lo dimostra. Gli scenari probabili sono in realtà solo due: un nuovo peggioramento delle aspettative economiche oppure l’esplosione immediata della crescita conseguente al ritorno immediato alla normalità, a stimoli fiscali “post-bellici”, all’effetto “fine del pericolo” da parte di imprese e consumatori ma in un quadro di rialzo dei tassi e dell’inflazione. Ci attendiamo quindi un reset delle aspettative, in un verso o nell’altro. Non ci meraviglia affatto dunque la forte correzione intervenuta su alcuni titoli e settori super-caldi e super-cari. Questi avevano assunto le sembianze di una “mania” che di solito prima colpisce chi ci scommette contro e poi chi ci scommette a favore. In queste fasi è consueto l’apparire di un nuovo idolo, un nuovo guru, un nuovo oracolo. BlueStar resta convinta tuttavia che speculare sia legittimo ma farlo credendo di investire sia molto pericoloso. In questo mestiere la fortuna è condizione necessaria ma non sufficiente per il successo. Continuiamo a consigliare di riconnettere il cervello e non farsi lobotomizzare dal pensiero unico del momentum e del consensus. Chi si illude di potersi facilmente impossessare dell’Arca della conoscenza poi si ritrova solo con le macerie della propria presunzione.

Tassi,cambi, inflazione, economia e debiti non sono variabili indipendenti. Sconsigliamo di seguire il gregge.

Il forte movimento al rialzo dei tassi e delle aspettative inflazionistiche conferma quanto BlueStar aveva già intuito, nonostante un mercato ancora totalmente spalmato sul consensus del perfetto Goldilocks: una crescita esplosiva di economia e utili unita alla convenienza di tassi bassi e di un’inflazione assente. Da qui tutti gli acronimi più strampalati per giustificare le valutazioni stellari: Tina, Fomo, Yolo e compagnia bella. Tutto troppo facile ma alla fine i nodi vengono al pettine. Ammesso che le aspettative economiche vengano confermate non è ragionevole attendersi dall’altra parte l’assenza di “effetti collaterali”. Tassi, parità di cambio, economia, inflazione e debiti non sono variabili indipendenti una dall’altra che possiamo sperare vadano tutti solo nella direzione più favorevole ai mercati. O le obbligazioni tornano ad essere competitive rispetto alle azioni e fanno tornare sul pianeta terra alcune valutazioni esagerate oppure qualcosa dell’ottimista scenario post pandemico di mercato deve essere rivisto. Non si può pensare inoltre che gli enormi debiti e le masse monetarie immesse non abbiano conseguenze. Il Covid si cura, forse, coi vaccini (quelli seri…) non con la Fed. Le politiche monetarie fini a se stesse non fanno altro che allontanare ancora di più la finanza dall’economia reale e a creare eccessi di euforia su titoli o segmenti sui quali si anticipano come imminenti i risultati che forse arriveranno (e noi dubitiamo) tra dieci anni, facendo apparire come geni chi in realtà sfrutta solo l’effetto gregge. L’idea dei “disruptor” stocks è un attimino inflazionata e alla fine se diventa solo momentum lascia il tempo che trova. Consigliamo prudenza, razionalità, attenta costruzione del portafoglio e cervello. La stella della fortuna passa, la competenza, l’umiltà e il duro lavoro restano.

Lo scenario Goldilocks ha i giorni contati. Ci aspettiamo un reset delle aspettative da una parte o dall’altra.

Dopo il primo shock del marzo 2020 il mercato ha cominciato ad anticipare molto in fretta una rapida ripresa che ha assunto ancora più forza con l’approvazione dei primi vaccini. Nel frattempo è arrivata una forte seconda ondata, siamo alle soglie della terza e il numero di morti e contagi nel mondo ha assunto le proporzioni di una guerra. BlueStar riteneva che se i lockdown e le ondate si fossero limitate a quelle della primavera scorsa avremmo potuto considerare il Covid come un flash crash esogeno violento ma veloce, incapace di creare effetti negativi di lungo termine. Non dimenticheremo mai i “guru” super blasonati che vedevano un S&P giù a 1700 punti! Nei fatti però la durata della pandemia ed i suoi effetti sono stati più lunghi e obiettivamente non se ne vede ancora chiaramente la fine, pur essendoci più vicini. Ipotizzare un perfetto ritorno alla normalità già nel corso del 2021 ci sembra ambizioso. Ma anche ammettendo che tutto finisca presto la crisi avrà a nostro parere effetti strutturali di più lungo termine che oggi il mercato non vuole vedere. Tali effetti saranno incentrati, a parere di BlueStar, sulla interrelazione tra economia, tassi, inflazione, parità di cambio, settori vincenti e perdenti. Il tasso di crescita reale atteso del Pil USA intorno al 6.5% nel 2021 (e al 3-4% per il 2022) implica una crescita media nominale del 6% che non si vedeva da decenni. Non ci capacitiamo come questo possa essere coerente con un tasso di interesse decennale al 1.5%, un federal funds rate a 0% ed un’inflazione sotto al 2%. Se a ciò sommiamo l’esplosione del debito e della massa monetaria, nonché del tasso di risparmio, è ovvio che l’equazione non torna. Nel corso degli ultimi mesi ci siamo affannati a spiegare tutti i motivi per i quali riteniamo che, nel best case scenario che sta dipingendo il mercato, il periodo di deflazione sia concluso e ci si avvii verso un deciso cambio di paradigma. Questa è una posizione totalmente fuori consensus rispetto a chi insiste, per comodità, a voler pensare utilizzando lo stesso schema che ha funzionato dopo il 1997. Da quell’anno in poi, infatti, la svalutazione delle valute asiatiche, l’inclusione della Cina nel Wto, la presidenza Clinton e la nascita di Amazon (di internet, dell’e-commerce ecc.) hanno effettivamente costituito una enorme forza deflattiva globale. Ma sotto molti di punti vista le cose sono cambiate e la pandemia non ha fatto altro che accelerare tali cambiamenti. Alle politiche di QE, giunte al culmine con la pandemia, si sono aggiunte inoltre tre aggravanti: la totale perdita di credibilità anti-inflazionistica delle banche centrali (impegnate a fare da “spalla” ai loro colleghi del Tesoro secondo la dottrina del MMT), una spesa pubblica allegra (produttiva e non) dopo anni di austerità e la spinta (non scevra da grossi rischi collaterali) della green economy. Con tali premesse pensare di non avere effetti da una parte o dall’altra è pura speranza. Certo non ci aspettiamo di fare la fine del Venezuela che ha appena introdotto le banconote da un milione di Bolivar (con le quali si paga il biglietto del bus) ma solo un raddoppio dell’inflazione rispetto alla media post 1997 è qualcosa a cui il mercato non è certamente ancora pronto. Non ci aspettiamo un rimbalzo immediato della stessa ma non vediamo alcuna consolazione nella recente pubblicazione sotto le stime del CPI americano che già ha fatto esultare i tori per lo scampato pericolo. Notiamo invece con preoccupazione la salita costante del PPI cinese che nella storia ha sempre anticipato l’inflazione occidentale.

Campagna di vaccinazione estremamente confusa, deludente e rischiosa. Bene solo US e UK.

Dopo il primo shock del marzo 2020 il mercato ha cominciato ad anticipare molto in fretta una rapida ripresa che ha assunto ancora più forza con l’approvazione dei primi vaccini. Nel frattempo è arrivata una forte seconda ondata, siamo alle soglie della terza e il numero di morti e contagi nel mondo ha assunto le proporzioni di una guerra. BlueStar riteneva che se i lockdown e le ondate si fossero limitate a quelle della primavera scorsa avremmo potuto considerare il Covid come un flash crash esogeno violento ma veloce, incapace di creare effetti negativi di lungo termine. Non dimenticheremo mai i “guru” super blasonati che vedevano un S&P giù a 1700 punti! Nei fatti però la durata della pandemia ed i suoi effetti sono stati più lunghi e obiettivamente non se ne vede ancora chiaramente la fine, pur essendoci più vicini. Ipotizzare un perfetto ritorno alla normalità già nel corso del 2021 ci sembra ambizioso. Ma anche ammettendo che tutto finisca presto la crisi avrà a nostro parere effetti strutturali di più lungo termine che oggi il mercato non vuole vedere. Tali effetti saranno incentrati, a parere di BlueStar, sulla interrelazione tra economia, tassi, inflazione, parità di cambio, settori vincenti e perdenti. Il tasso di crescita reale atteso del Pil USA intorno al 6.5% nel 2021 (e al 3-4% per il 2022) implica una crescita media nominale del 6% che non si vedeva da decenni. Non ci capacitiamo come questo possa essere coerente con un tasso di interesse decennale al 1.5%, un federal funds rate a 0% ed un’inflazione sotto al 2%. Se a ciò sommiamo l’esplosione del debito e della massa monetaria, nonché del tasso di risparmio, è ovvio che l’equazione non torna. Nel corso degli ultimi mesi ci siamo affannati a spiegare tutti i motivi per i quali riteniamo che, nel best case scenario che sta dipingendo il mercato, il periodo di deflazione sia concluso e ci si avvii verso un deciso cambio di paradigma. Questa è una posizione totalmente fuori consensus rispetto a chi insiste, per comodità, a voler pensare utilizzando lo stesso schema che ha funzionato dopo il 1997. Da quell’anno in poi, infatti, la svalutazione delle valute asiatiche, l’inclusione della Cina nel Wto, la presidenza Clinton e la nascita di Amazon (di internet, dell’e-commerce ecc.) hanno effettivamente costituito una enorme forza deflattiva globale. Ma sotto molti di punti vista le cose sono cambiate e la pandemia non ha fatto altro che accelerare tali cambiamenti. Alle politiche di QE, giunte al culmine con la pandemia, si sono aggiunte inoltre tre aggravanti: la totale perdita di credibilità anti-inflazionistica delle banche centrali (impegnate a fare da “spalla” ai loro colleghi del Tesoro secondo la dottrina del MMT), una spesa pubblica allegra (produttiva e non) dopo anni di austerità e la spinta (non scevra da grossi rischi collaterali) della green economy. Con tali premesse pensare di non avere effetti da una parte o dall’altra è pura speranza. Certo non ci aspettiamo di fare la fine del Venezuela che ha appena introdotto le banconote da un milione di Bolivar (con le quali si paga il biglietto del bus) ma solo un raddoppio dell’inflazione rispetto alla media post 1997 è qualcosa a cui il mercato non è certamente ancora pronto. Non ci aspettiamo un rimbalzo immediato della stessa ma non vediamo alcuna consolazione nella recente pubblicazione sotto le stime del CPI americano che già ha fatto esultare i tori per lo scampato pericolo. Notiamo invece con preoccupazione la salita costante del PPI cinese che nella storia ha sempre anticipato l’inflazione occidentale.

Rotazione settoriale: non tutti i growth sono eccessivamente cari ed alcuni value non sono più tali. Mercati troppo tirati.

Negli USA, tra l’altro, tra messaggi di solidarietà a Meghan Markle, a Navalny e ai dimostranti di Hong Kong, Biden ha finalmente trovato il tempo anche per far approvare il fiscal stimulus. Era ora. Nella speranza che gli USA comincino a pensare di più agli affari di casa propria e alle enormi diseguaglianze di una società che sta implodendo (tutto coerente alla solidarietà per la povera Meghan), attendiamo ora il piano infrastrutturale, l’unico veramente in grado di creare ricchezza sostenibile di lungo termine e non mere sovvenzioni. L’esplosione economica che ne conseguirebbe tuttavia è paragonabile ad un picco glicemico successivo all’ingestione di troppi zuccheri. È come quando mio figlio piccolo ruba di nascosto e mangia cinque merendine di fila e poi lo trovo collassato sul divano. Fino a ieri nessuno si interessava dei tassi a lunga che si supponeva rimanessero a 0.5% per sempre, oggi come di incanto tutti tornano a parlarne. Sarà lo stesso per la FED. Immemori delle volte in cui le banche centrali sono state costrette a cambiare idea da un trimestre all’altro (vi ricordate l’auto-pilot dell’aumento dei tassi di Powell o la Lagarde che diceva “non siamo qui per chiudere spread” …?), si dà per certo che le politiche monetarie non cambieranno fino al 2023 almeno, perché i debiti sono alti. E quindi? Ci aspettiamo forse che il debito scenda? Perché altrimenti se questa è l’argomentazione allora non sarebbe ammissibile un aumento dei tassi fino al 2035 almeno. Ma ammettiamo pure che sia così, è mai possibile che non ci siano conseguenze di ciò? La coperta è corta e prima o poi qualcuno deve cedere. Queste considerazioni sono forse troppo sofisticate da capire per i nuovi “guru” dell’alta finanza dei growth stocks o dei Reddit boys ma non dovrebbero esserle per chi ha studiato ed ha anni di esperienza. La mini-rotazione settoriale che abbiamo già sperimentato in questi giorni è destinata, a nostro parere, a continuare dopo un contro-trend tecnico. A proposito della rotazione abbiamo due notizie, una buona e una cattiva. Quella buona è che a parere di BlueStar non bisogno fare l’errore di buttare via “il bambino con l’acqua sporca”: vi sono alcune sacche eccessive di speculazione in alcuni settori growth ma le recenti correzioni, se dovessero continuare, offrirebbero punti di entrata molto interessanti per titoli che sono stati venduti per contagio più che per demerito. Occorre saper distinguere tra growth di qualità e “fuffa”: Tesla è una cosa (insieme ad altri titoli preferiti da Cathie Wood come Nio, Plugpower, Palantir, Roblox…) ma Alphabet e Amazon, ad esempio, sono un’altra. La brutta notizia è che anche tra i value occorre saper distinguere. BlueStar ha fatto la chiamata value a inizio estate 2020 quando si scontavano ancora utili da recessione fino al 2022 compreso. Ora, tuttavia, alcuni value non sono più tali e si ritrovano di nuovo ai massimi storici di sempre, come se nulla fosse successo. Questo ci porta, ed il cerchio si chiude, alla generale conclusione di mercati troppo esuberanti e troppo cari. Inseguire a proprio rischio e pericolo.

Un cambio di paradigma nella tradizionale costruzione di portafoglio.

Mettendo insieme tutti i pezzi, molti contro consensus, che BlueStar ha ampiamente analizzato negli scorsi mesi, ne deriva un generale cambio di paradigma nelle dinamiche finanziarie mondiali che rischiano di scombussolare totalmente la tradizionale costruzione di portafoglio. In un mondo senza più un reale risk free rate, con valute destabilizzate, in uno scenario inflattivo condito da debito e masse monetarie alle stelle (ma anche auspicabilmente con una crescita economica sostenuta) il tradizionale ruolo di alcuni hedge di portafoglio è messo in discussione. Alcune correlazioni classiche non saranno più tali ed occorre un minimo di spirito critico per sganciarsi dalle comode certezze a cui eravamo abituati. Il dollaro è destinato a svalutarsi pur con tassi in salita (tranne probabili momenti di forza di breve) ed i Treasury torneranno ad essere negativamente correlati alle azioni (tassi su, azioni giù e viceversa). Smetteranno quindi di costituire un affidabile hedge. In questo scenario consigliamo quindi di detenere, affianco ad un mix ben diversificato di settori ed aree geografiche azionarie, alternativi realmente decorrelati (ce ne sono pochi ma ce ne sono), valute emergenti e real assets (tra cui materie prime, oro, miners ed infrastrutture). Il mantra resta sempre lo stesso: presenti ma prudenti.

Presenti ma prudenti. Idee tematiche e settoriali in un contesto di rischio controllato.

BlueStar resta investita con una quota azionaria sotto al neutrale e ben bilanciata tra settori e geografie diverse. La nostra componente lunga è comunque sempre ben protetta da una quota importante e dinamica di hedge diretti ed indiretti. Restiamo investiti in maniera convinta in macro-tematiche di lungo termine quali: la difesa, la sicurezza, la tecnologia innovativa, la farmaceutica e biotecnologia, il nuovo consumo (asiatico ed occidentale), la sostenibilità ambientale, i settori favoriti da tassi bassi, alcuni settori ciclici. Su questi ultimi abbiamo sfruttato il rally degli ultimi giorni per diminuirne la quota aumentando invece la componente di real assets.  Nel comparto obbligazionario restiamo pesantemente sotto ponderati mentre aumentiamo gradualmente gli alternativi di qualità. Sul fronte valutario restiamo ben diversificati tra valute risk on e risk off ammettendo tuttavia che negli ultimi tempi queste ultime non hanno purtroppo assolutamente fornito la protezione che ci aspettavamo in momenti di maggiore volatilità.

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